Case del Balilla. Architettura e fascismo

Case del Balilla. Architettura e fascismo


“L’opera nazionale balilla: “il più gigantesco esperimento di educazione di Stato che la storia ricordi” (Emilio Gentile)
Forse non esagerava Renato Ricci, presidente dell’Opera nazionale balilla dal 1927 al 1937, quando nel 1931, per difendere l’autonomia della sua organizzazione dalle manovre espansioniste del partito fascista nei suoi confronti, la definì «la più fascista delle organizzazioni fasciste». L’attributo superlativo era plausibile in ragione dei compiti che il regime fascista aveva assegnato all’Onb, dal Duce stesso definita «la pupilla del Regime», affidandole l’educazione delle nuove generazioni. (…) A giustificare il superlativo attributo fascista rivendicato per la sua organizzazione, Ricci poteva legittimamente vantare l’originalità dell’Onb nell’ambito delle istituzioni del regime, perché votata «al più gigantesco esperimento di educazione di Stato che la storia ricordi: formare in senso patriottico e unitario, cioè fascista, le classi più giovani di un popolo, che, in quindici secoli di dominazione straniera e nel primo periodo della sua brevissima esperienza di Stato nazionale, aveva acquistato idee e mentalità assai difformi da quelle affermate dalla Rivoluzione delle camicie nere»(…)
Nell’ambito della tendenza alla defascistizzazione retroattiva del fascismo, anche il problema del rapporto tra fascismo e architettura ha trovato soluzioni che o hanno negato l’esistenza di una reale connessione ideologica o hanno postulato la discriminazione fra architetti “buoni”, cioè moderni, razionalisti, funzionalisti e, pertanto, antifascisti, e architetti “cattivi”, cioè tradizionalisti, retorici, pomposi e, pertanto, fascistiLa “buona architettura” del periodo fascista sarebbe stata ideologicamente neutra e il coinvolgimento di molti architetti “buoni” nelle opere del regime sarebbe stato frutto di ingenuità o di un adattamento convenzionale, senza convinzione, ai rituali del regime. Negata l’esistenza di un’architettura fascista, la defascistizzazione retroattiva ha escluso che vi siano stati architetti “buoni” che operarono per dar corpo a una architettura fascista, convinti della funzione sociale dell’architettura come espressione funzionale e simbolica di una collettività creatrice di una nuova civiltà, quale il fascismo, secondo loro, stava creando in Italia attraverso l’esperimento totalitario, al quale aderirono con lucida consapevolezza e attiva partecipazione.
I saggi sulle case del balilla pubblicati in questo volume oppongono un solido argine alla defascistizzazione retroattiva del fascismo, e per questo il loro interesse storiografico va oltre il campo di indagine dei loro autori. Infatti, pur trattando in massima parte degli aspetti architettonici delle opere realizzate dall’Onb, questo volume offre documenti e argomenti validi anche per sviluppare una più ampia riflessione per approfondire la conoscenza del fascismo, attraverso il suo complesso e peculiare rapporto con l’architettura, nel quale furono coinvolti i migliori architetti italiani dell’epoca. Ed è merito degli autori di questo volume aver trattato il rapporto tra fascismo e architettura, attraverso l’esperienza dell’Onb, con un senso propriamente storico, mostrandone le effettive connessioni ideologiche e politiche, come si svolsero e variarono nel tempo, in un contesto che né il committente né gli architetti concepirono mai come tecnicamente neutro. Al contrario, gli architetti di cui questo volume si occupa appaiono tutti consapevoli del carattere politico delle opere loro commissionate dal presidente dell’Onb, anche se non furono meri esecutori di decaloghi ideologici.

Da questo volume appare confermata l’ipotesi che l’eclettica ricerca di uno “stile fascista” in architettura, condotta con unosperimentalismo in sintonia con lo sperimentalismo totalitario del regime, abbia contribuito alla definizione di una cultura fascista, attraverso le costruzioni del «fascismo di pietra», in un modo più efficace di molti scritti o discorsi del Duce e di altri ideologi del regime(…)
I giovani architetti, chiamati da Ricci a realizzare il nuovo stile dell’architettura fascista, erano accomunati dal convincimento della funzione sociale dell’architettura e dalla ricerca di uno stile originale conforme agli scopi dell’Onb senza essere uniforme, e tale da esaltare, con la sua netta e preminente visibilità, la costruzione fascista nella promiscuità dello spazio urbano. Le case del balilla, scriveva nel 1936 Luigi Moretti – il giovane architetto chiamato da Ricci nel 1933, quando aveva ventisei anni, a sostituire Enrico Del Debbio nella direzione dell’ufficio tecnico dell’Onb –, dovevano essere, come gli edifici dei gymnasi greci e romani, «la più alta espressione di civiltà politica», dovevano esprimere «la nuova grande civiltà, il nuovo “modo di vita” fascista nel mondo».

Alla funzionalità semplice e razionale, posta come criterio fondamentale dell’architettura dell’Onb, Moretti aggiungeva l’esigenza, altrettanto dominante, del simbolismo sacrale, che era del tutto coerente con il carattere fideistico dell’educazione fascista. Questi criteri furono ribaditi da Moretti anche quando, assorbita l’Onb nella Gil, egli conservò il suo incarico fino al 1943, adattandosi alla nuova struttura gerarchica dell’organizzazione, che tendeva a frenare nell’architettura lo sperimentalismo eclettico degli anni precedenti così come imponeva un più stretto conformismo nell’educazione delle nuove generazioni. «D’altra parte – osserva Marco Mulazzani nel suo saggio – vi è un’evidente continuità nella sua posizione: la qualità dell’architettura delle case dedicate all’educazione della gioventù italiana non può dipendere dalle tendenze artistiche né può essere il risultato “accidentale” del talento dell’architetto, ma si misura dal livello di aderenza di quei manufatti alla politica del fascismo e alle “ragioni di Stato”». (…)
Dalle numerose, suggestive immagini raccolte in questo volume, la visibilità dei cambiamenti avvenuti dopo il 1936 fa maggiormente risaltare la vivace e audace modernità di molte case del balilla edificate negli anni precedenti. Chi osserva queste costruzioni, affascinato dalla loro architettura sobria e severa e, nello stesso tempo, ariosa e luminosa, potrebbe essere indotto a defascistizzarle, dimenticando la funzione alla quale erano destinate e che, per consapevole scelta dei loro autori, influiva sul loro stesso stile. Guardando queste immagini, pertanto, occorrerà ricordare che entro questi seducenti edifici fu attuato un “gigantesco esperimento di educazione di Stato”, che svuotava le nuove generazioni della loro personalità e le plasmava secondo un modello di “cittadino soldato”, che esaltava l’annientamento dell’individuo in una collettività di massa entusiasta e adorante, destinata a vivere e a esaurire la propria esistenza nell’asservimento ai comandamenti di uno Stato totalitario.
estratto da Rinaldo Capomolla, Marco Mulazzani, Rosalia Vittorini

in libreria per Electa-collana Architetti Moderni il 10 aprile 2008